Metodismo in Italia

Inizio e sviluppo dell’Opera metodista in Italia

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Il metodismo si presenta sulla scena della storia italiana nel 1859 con l’arrivo di William Arthur, segretario della Wesleyan Methodist Missionary Society di Londra. Egli girerà l’Italia per meglio conoscere gli sviluppi sociali e politici del Risorgimento. Nell’interessante rapporto “Italy in transition” affermerà la necessità di aprire un campo missionario nel nostro paese non per fondare una Chiesa metodista, ma per sostenere gli evangelici già presenti (valdesi e liberi) nell’impegno per una riforma religiosa in senso evangelico che fornisse il necessario supporto spirituale ai fermenti di riforma politica e culturale.

Nel 1860 la Società wesleyana inviò il giovane pastore Richard Green, il quale si fermò inizialmente a Firenze, dove entrò in contatto con esponenti delle chiese “libere” (Gavazzi e Guicciardini); spingendosi poi sino a Napoli, di recente liberata da Garibaldi.

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Nel 1861, rimpatriato il Green per motivi di salute, fu inviato in Italia il pastore Henry J. Piggott. L’organizzazione della missione nel Sud, territorio di cui con grande acutezza Piggott comprese tutte le specificità, venne affidata al pastore Thomas W. Jones. Nel 1870 giunse in Italia anche il pastore Leroy M. Vernon, inviato dalla

Chiesa metodista episcopale degli Stati Uniti d’America (sostituito dopo alcuni anni da William Burt).

Tramontato il sogno di costruire, con gli altri evangelici, una sola Chiesa protestante nazionale, Piggott e Vernon iniziarono ad organizzare le proprie rispettive chiese denominazionali: il primo la Chiesa Metodista Wesleyana ed il secondo la Chiesa Metodista Episcopale, accordandosi comunque per compiere un’opera complementare, non competitiva.

Sebbene originate da missioni estere, le Chiese metodiste si interpretarono subito come una componente attiva e dialogante della società italiana, impegnata a portare la propria testimonianza dentro i nodi sociali, culturali, politici e religiosi del paese e tesa alla collaborazione fra tutte le espressioni del protestantesimo.

Nacquero diverse chiese locali nelle grandi città come nei centri rurali. L’opera di evangelizzazione, particolarmente in alcune aree, seppe essere anche popolare ed annunciare efficacemente la libertà in Cristo agli strati più umili della popolazione: nella zona di Mezzano in Emilia, ad esempio, come nelle periferie industriali di Genova; nei paesi della Maiella, come fra i braccianti del ragusano (in Sicilia) o le maestranze per la costruzione del traforo del Sempione. Ad essa si affiancarono scuole diurne e serali, istituti di formazione professionale e avviamento al lavoro, opere di mutuo soccorso: ricordiamo Padova, Venezia, La Spezia, Villa San Sebastiano, Intra con l’Istituto G. Pestalozzi, Scicli, Napoli e Portici con la Casa Materna fondata nel 1905 dal pastore Riccardo Santi.

Peso rilevante ebbero la stampa di testi e periodici – come L’Evangelista, nato nel 1888 e chiuso dall’autorità fascista – e la formazione di circoli dialoganti con la cultura italiana in cui ebbero parte figure di spicco come Pietro e Alfredo Taglialatela.

Merita menzione l’impegno civile in difesa dei diritti di operai e pescatori a Pozzuoli a cavallo fra Ottocento e Novecento, svolta dal pastore wesleyano Francesco Sciarelli – un ex frate che nel 1860 si era unito ai garibaldini, per poi aderire al metodismo – al quale si deve la campagna per la conquista del riposo domenicale; mentre a Scicli (RG) nei primi decenni del Novecento operò il pastore episcopale Lucio Schirò che, come esponente del partito socialista, assunse la carica di sindaco in opposizione al nascente fascismo.

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Durante il ventennio fascista, nonostante severe restrizioni alla libertà, le chiese si impegnarono a non rinchiudersi in se stesse. In quegli anni difficili, la scuola teologica metodista a Roma accolse come propri professori Ugo della Seta ed Ernesto Buonaiuti. Con la crisi finanziaria negli Stati Uniti d’America (1929), la missione metodista episcopale in Italia subì un drastico ridimensionamento. L’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale contro Inghilterra e Stati Uniti rese la vita delle due missioni metodiste ancora più difficile.

Nell’immediato dopoguerra (1946) i due rami del metodismo si unirono nella Chiesa Evangelica Metodista d’Italia, sotto la giurisdizione della Conferenza metodista britannica sino all’autonomia (1962).

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In un clima di rinnovato slancio, nel 1954 nacque a Velletri (Roma), per impulso del I congresso della Gioventù evangelica italiana, Ecumene, un centro di studi, culto e vita comunitaria che si offrì come luogo di azione per la riconciliazione, la pace e la giustizia fra i popoli e gli individui. Il Centro ben presto si caratterizzò per uno specifico interesse, che tuttora prosegue, per la ricerca su “Fede e politica”, sviluppando interessanti percorsi di analisi, ad esempio su religiosità popolare, cultura cattolica, meridionalismo, lavoro e vocazione, democrazia. Nel 1975, con il Patto di Integrazione, inizia il cammino comune con le Chiese valdesi. Questa eredità di testimonianza ed impegno nella polis è oggi portata avanti da 40 comunità disseminate su tutto il territorio nazionale, in molti casi arricchite dalla significativa presenza di uomini e donne (dono delle chiese metodiste dei

paesi d’origine), giunti in Italia da percorsi di migrazione. In queste comunità si vive la sfida di camminare lungo percorsi di integrazione che rifiutano sia il modello dell’assimilazione sia quello della coesistenza parallela, in vista della costruzione di una realtà comunitaria e di una comune vocazione rinnovate dalla valorizzazione e dall’autentico dialogo fra diverse tradizioni, sensibilità ed esperienze. Per accrescere la fruibilità del patrimonio spirituale e culturale del metodismo in Italia e nel mondo nel 2009 è stato costituito un Centro di Documentazione metodista.