Simboli e fondamenti

Come tutti i cristiani anche i valdesi e i metodisti usano avere nel loro locali di culto il simbolo della croce, a documentare la loro fede cristiana; non usano però il crocifisso per un motivo teologico di fondo: il fatto che dopo essere stato crocifisso Gesù è risuscitato e l’immagine che i suoi apostoli ci hanno lasciata non è il suo corpo in croce ma le sue apparizioni dopo la risurrezione.

La croce si ritrova nella forma detta “ugonotta”, cioè dei riformati del regno di Francia, usata ormai in tutto il protestantesimo. Lavoro di oreficeria iniziato nel XVII secolo in Linguadoca ha la forma della croce di Malta cui si aggiunge il pendaglio di una colomba, a rappresentare lo Spirito Santo.

LVXIl logo attuale delle chiese valdesi, che risale alla metà del XVII secolo, è un candeliere che regge una fonte di luce (fiamma o candela) circondata da sette stelle e accompagnato da una scritta “in tenebris lux” o “lux lucet in tenebris”. Si tratta di riferimenti scritturali evidenti: la scritta è tratta dal passo evangelico dove Gesù (Vangelo di Giovanni 1,5) è definito la luce che risplende nelle tenebre. Le stelle si riferiscono alla visione di Apocalisse 1,16, dove Cristo in gloria tiene nella mano le stelle che rappresentano le sette chiese dell’Asia in crisi e persecuzione. Con questo duplice riferimento biblico i valdesi intesero affermare la loro volontà di fedeltà alla verità evangelica e la certezza di essere custoditi da Cristo nella persecuzione.

ilmondoAnche le chiese metodiste hanno espresso la loro identità in un simbolo composto da due elementi che fanno riferimento alla fede cristiana da un lato, alla confessione metodista dall’altra. L’immagine di fondo è la combinazione di due simboli presenti nelle catacombe: la croce e le iniziali del nome di Cristo. Il primo è evidente non necessita di spiegazione, il secondo lo è meno; è costituito dalle due lettere iniziali KR del suo nome KRISTOS in greco. Mentre la K (qui X) è molto comprensibile la R può essere scambiata per un P. Ai due estremi del braccio della croce stanno due lettere dell’alfabeto greco; alfa e omega, la prima e l’ultima, richiamo ad una citazione dell’Apocalisse (21,6) dove il Cristo in gloria si presenta come Alfa e Omega della storia. 
La scritta sulla pergamena incollata alla croce è un detto molto noto di John Wesley, il fondatore del movimento metodista; a chi gli muoveva l’obiezione di non avere parrocchia aveva risposto: “considero il mondo come la mia parrocchia”. 

Fondamenti della Riforma 

  • Sola Scriptura

La fede, la teologia, la spiritualità e perfino l’organizzazione ecclesiastica protestante intendono basarsi soltanto sulla Scrittura. Questa frase ci distingue dal cattolicesimo che si basa non solo sulla Scrittura, ma anche sulla tradizione ecclesiastica. In anni recenti il ruolo della tradizione è stato ridimensionato, ma non cancellato. La mariologia cattolica, per esempio, si fonda in massima parte su tradizioni o leggende che non hanno nessuna base biblica. Dire «Sola Scriptura» non elimina i problemi. Per i valdesi medievali il centro della Scrittura era il Sermone sul Monte con le sue indicazioni di vita morale; per Lutero era la Lettera ai Romani: «Il giusto vivrà per fede». Per i Pentecostali hanno un posto importante hanno i capitoli delle epistole che parlano dei doni dello Spirito: guarigioni, parlare in lingue ecc.
Per altri, il centro è Daniele e l’apocalisse, ossia le profezie del futuro, non solo per fare dei conti più o meno strani sulla data della fine del mondo, ma soprattutto per essere incoraggiati dal pensiero che alla fine non ci sarà il nulla, bensì il Regno di Dio. Altri, ancora, concentrano la loro attenzione sui Salmi, specialmente quelli che contengono parole di lode e di riconoscenza al Signore.
Le chiese della Riforma, cioè le nostre chiese, sono comunità che sono state riformate e continuano a riformarsi secondo la Scrittura: la Scrittura, persa nella sua ricca, complessa, inseribile varietà e ricchezza, e non in uno solo dei suoi aspetti. La Scrittura letta e interpretata non in modo individualistico, ma nella comunità di uomini e di donne credenti, che si aiutano e stimolano reciprocamente a capirla e a viverla… Per esempio in quegli «studi biblici» talvolta trascurati, ma fondamentali e insostituibili per la vita e la fede degli evangelici.

  • Sola Fide

“Sola fide” vuol dire «soltanto per fede». In realtà questa è un’abbreviazione che, come tutte le abbreviazioni, rischia di creare qualche malinteso. La frase completa è questa: «Salvati per grazia mediante la fede».Chi ci salva, chi ci perdona, chi ci riconcilia con se stesso è Dio. Questa sua azione si chiama grazia. Fede vuol dire soltanto che siamo certi, siamo convinti che il perdono di Dio è autentico e totale, e come tale lo accettiamo. Occorre aggiungere che per molte persone la «fede» è spesso intesa come adesione intellettuale, come se volesse dire «tenere per vere certe proposizioni dogmatiche».Certo c’è anche questo elemento: se una persona ritiene che Dio non esista, non può certo fidarsi di lui; ma l’essenziale della fede è la fiducia, la convinzione profonda che Dio ci ama e che è fedele.
Lutero, morendo, diceva: «Siamo tutti mendicanti»; non vuol dire che siamo dei miserabili; vuol dire che l’essenziale, cioè la vita, la salvezza, la vita eterna, le possiamo soltanto ricevere. La fede non è uno sforzo, non è una specie di impegno o di lotta che sarà ricompensata, non è un pagamento anticipato o posticipato. Fede è accettare da Dio la sua grazia come un neonato accetta dalla mamma nutrimento e affetto. L’espressione tradizionale «salvezza per fede» rischia dunque di essere fuorviante, perché fa della fede una sorta di opera o esercizio. La frase polemica di certe persone è, sotto questa aspetto, molto illuminante: «Noi dobbiamo fare delle opere, ma per i protestanti basta credere». Come se per gli uni la grazia costasse molto e per gli altri costasse poco. Anche in questo caso si riduce la fede a una sorta di prestazione, magari minima.
Credere è ricevere. Fede è fiducia. Pochi lo capiscono davvero. «Dinanzi a Dio siamo tutti mendicanti, questa è la verità». Il dono della grazia di Dio è così grande e così meraviglioso che non solo ci perdona, ma ci chiama ad essere discepoli riconoscenti.

  • Sola Gratia

Parola estremamente semplice: siamo salvati per la sola grazia di Dio. Ma qui, naturalmente, cominciano le questioni. Grazia, perdono, cancellare i peccati (ricordate il Padre Nostro:«Rimettici i nostri debiti…») sono tutte espressioni equivalenti. Ma ci sono due modi di perdonare un debito. Il primo è dire:«Il tuo debito non esiste più, straccio la cambiale». Questo è il concetto protestante della grazia: Dio cancella il nostro peccato, Gesù lo ha preso su di sé, esso non esiste più. Molte persone non riescono a pensarlo e continuano a vivere come se dovessero «pagare» qualche cosa. Alcuni addirittura ci si angosciano psicologicamente. Non dobbiamo pagare proprio niente: siamo liberi, siamo perdonati, siamo «nuovi» al cento per cento. Così grande è l’amore di Dio in Cristo..
C’è un altro modo di vedere il perdono, più tradizionale nei cattolici. Certo, essi dicono, siamo tutti salvati per grazia, ma per loro la grazia consiste nel fatto che Dio, per sua bontà, ci mette in grado di contribuire a pagare il debito. La differenza è evidente: in un caso l’essere umano collabora alla propria salvezza, le sue «opere buone» sono necessarie (anche se non sufficienti) perché sia salvato. Nell’altro caso Dio gli perdona totalmente, senza riserve, per pura bontà. Siccome noi siamo molto spesso incapaci di perdonare davvero al nostro prossimo (pensate alla frase ambigua:«Ti perdono ma non posso dimenticare») così ci pare che Dio non possa perdonarci completamente senza una pur minima controparte da parte nostra. In tal modo rendiamo Dio simile a noi, il che significa sminuirlo assai.
Ma, dirà qualcuno, le «buone opere» la moralità, il discepolato dove vanno a finire? Se Dio ci salva senza contropartita, che bisogno c’è di fare il bene? Non c’è nessun bisogno, nessun obbligo, ma c’è la chiamata di Dio rivolta a noi come persone libere e responsabili. A noi di decidere se e come rispondere al suo amore. La Bibbia ci invita a farlo e ce ne indica i modi possibili.

  • Solus Christus

È una parola latina che non c’è bisogno di tradurre, tanto è chiara. Ma che cosa vuol dire realmente? Da un lato è una specie di riassunto delle tre formule classiche: Sola Scrittura, Sola Grazia, Sola Fede. Ma vuol anche dire un’altra cosa, estremamente importante, cioè che la nostra “controparte”, ossia la persona con cui parliamo, non è una qualche autorità ecclesiastica o spirituale terrena, ma è Gesù Cristo.. Egli è il nostro interlocutore, . Egli soltanto è colui al quale ci rivolgiamo e a cui parliamo. Ciò significa, prima di tutto, che tra noi e il Signore non c’è alcun intermediario.. Noi siamo davanti a lui faccia a faccia. Nessuna persona umana può pretendere di fare l’interprete o il mediatore tra noi e Gesù; nessun gesto sacro può frapporsi tra noi e lui.. Certo, qualcuno può aiutarci a incontrarlo con la testimonianza e con il consiglio, ma poi scompare e ci lascia a tu per tu con lui. Si noti inoltre che non abbiamo detto “io” sono davanti a Gesù, ma “noi” siamo davanti a lui. Pensiamo ai numerosi versetti dell’apostolo Paolo in cui ci parla del “corpo di Cristo”. Noi, credenti, siamo membri di chiesa, siamo il “corpo di Cristo”. Gesù dice: – Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro. –
Per molte persone, la religione è l’essenziale di un rapporto esclusivamente individuale “tra me e Dio”. Esiste senza dubbio anche la dimensione personale. Molti salmi e molti passi biblici ci mostrano il singolo in preghiera, ma questi lo è sempre in quanto membro della comunanza di fratelli e sorelle credenti, membro del corpo di Cristo membro del popolo di Dio. La preghiera che Gesù ci da insegnato dice: – Padre Nostro… – Anche quando la dico da solo, quel “nostro” mi colloca subito nella comunità e nella solidarietà dei credenti. Coloro che credono non sono membri di un club religioso o appartenenti a un’associazione volontaria, ma sono come me, in tutta la forza del termine, membra del corpo di Cristo.

  • Soli Deo Gloria

È bene che chi crede legga la Scrittura, creda nel perdono di Dio, si rivolga a lui nella lode e nella preghiera. Ma deve anche sapere come comportarsi nei riguardi degli esseri umani e del creato di Dio in generale. Deve cioè avere un’etica. Non per meritare in qualche modo il perdono e la salvezza, ma per rispondere al dono di Dio con riconoscenza. Il detto latino riportato più sopra significa «alla sola gloria di Dio». In altri termini l’attività del credente non ha lo scopo di glorificare se stesso, né il partito né la patria e neppure la chiesa, ma deve essere orientata a glorificare Iddio. Lo dice anche un versetto dell’Evangelo: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli». Se si guarda in una chiave biblica quante volte le parole «gloria» e «glorificare» compaiono nella Scrittura, se ne trovano parecchie colonne, il che vuol dire che per gli autori biblici si tratta di qualche cosa di importante. Nel nostro linguaggio moderno quelle due parole sono diventate piuttosto scialbe, quindi ci si domanda che cosa davvero voglia dire «glorificare Iddio». Riprendo la spiegazione che ne dà il Dizionario biblico: glorificare Iddio significa riconoscere e proclamare la signoria e la potenza di Dio sull’Universo intero. A questo deve tendere la nostra vita morale, la nostra etica, le cose che facciamo… Anche sul terreno economico e politico. È il nostro atto di riconoscenza verso colui che ci ha amati e salvati per grazia.

(past. Aldo Comba)